Psicologicamente siamo come dei bachi da seta: il nostro bozzolo è il nostro ego e non abbiamo coscienza della totalità del nostro Io. Ma a differenza del baco, spiega il Prof. Elahi, per emergere dobbiamo attivarci con uno sforzo volontario. Non c’è nessun automatismo naturale.
C’è un’emozione speciale che non ha un’origine limbica. Non per questo è meno intensa, è anzi profonda e pura. È l’emozione che si prova nel conoscere Dio.
Bisogna farne esperienza, non si può descrivere. Per sapere che cos’è la Verità bisogna assaggiarla; per sapere se un principio spirituale è giusto, bisogna assaggiarlo; in altre parole si deve comprenderlo, praticarlo e constatarne in noi gli effetti, anche in termini emozionali.
Dopo la morte – dice il prof. Elahi in questi brevi estratti di una sua conferenza a La Sorbonne – quando avremo raggiunto il nostro vero ambiente naturale, il nostro grado di libertà, di potere e di comprensione dipenderà dal nostro livello di conoscenza spirituale raggiunto quaggiù, sulla terra. La conoscenza di Dio, delle verità non avviene attraverso le parole degli altri ma solo tramite l’effettiva conoscenza di sé. E conoscersi vuol dire conoscere e riconoscere nella vita di tutti i giorni, “in vivo”, le potenze che agiscono e si agitano in noi, nell’anima e nella psiche. Conoscenza che non si realizza praticando un’etica qualsiasi, tra le migliaia oggi suggerite, ma soltanto nella pratica dei principi etici e divini giusti, quale unico fondamento di tutte le religioni rivelate e emanazione dell’unica Fonte.
Credere è importante, ma non basta se il nostro agire, la pratica quotidiana, non è conseguente. Senza la pratica e la sperimentazione dei principi etici e divini non vi è una reale comprensione, non vi è merito nè progresso spirituale. Possiamo ricevere molto anche in cambio di poco, ma quel poco è necessariamente richiesto. Questo perchè esiste un Conto regolato dal principio di causa ed effetto, principio a cui obbedisce l’intero creato e che Dio stesso non trasgredisce mai.
Possiamo essere molto intelligenti e razionali nella nostra vita materiale di tutti i giorni o addirittura essere degli esperti in vari campi del sapere ma, al contempo, non comprendere nulla di spiritualità. Perché la ragione comune non é in grado di cogliere né comprendere la dimensione spirituale delle cose fin quando non comincia a maturare ed evolversi in ragione sana. Favorire tale maturazione attraverso un’adeguata “alimentazione” è quindi per l’uomo un compito prioritario, la cui esecuzione non è priva di ostacoli.
L’ambiente naturale per la nostra anima è altrove, non qui. Eppure essere qui ha un senso. Soltanto sulla terra possiamo formarci e potenziare la nostra capacità di comprensione, secondo precise tappe di apprendimento. E la felicità, nel senso pieno del termine, ha a che vedere con la comprensione e il suo grado di profondità e ampiezza.
La verità dell’uomo è la sua anima. Per quanto possiamo modificarci, la nostra identità permane perché il nostro vero Io è un’anima, coscienza pura. Ma è il nostro livello di consapevolezza attuale ad essere estremamente limitato e a renderci ipovedenti, dice Bahram Elahi attraverso una metafora che in qualche modo ricorda il mito platonico della caverna.
Principi etici e spirituali che non si traducano in un modo di agire e di vivere, che rimangano relegati nella sfera del mentale o espressi solo al livello del dire, non servono alla crescita personale e alla conoscenza di sé. Piuttosto alimentano in chi li “archivia” un senso di superiorità teso a zittire e sopraffare il prossimo. Questo il pensiero di Bahram Elahi, nella sua conferenza di novembre 2011 a La Sorbonne di cui pubblichiamo un estratto.
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